In vista del 72º Festival di Cannes, l’interprete specializzata Nadia Martín ci racconta come si lavora tra film e star internazionali.
Il sipario si leva ancora una volta sulla 72a edizione del Festival di Cannes, che quest’anno presenta una selezione di qualità di 21 film che lotteranno per aggiudicarsi la Palma d’Oro. Sul red carpet sfileranno pionieri e veterani con profili di fama mondiale, come ad esempio Quentin Tarantino, Pedro Almodóvar, Ladj Ly, Diao Yinan o Marco Bellocchio. Non a caso è uno dei tre festival più importanti al mondo, accreditato dalla Federazione Internazionale delle Associazioni di Produzione Cinematografica, assieme a quello di Venezia e di Berlino.
Essendo un evento di categoria A, deve rispettare determinati standard di qualità nella selezione dei film e dei giudici, ma è anche tenuto a rispettare alti livelli di organizzazione e promozione. Il Festival di Cannes organizza anno dopo anno innumerevoli eventi paralleli in cui si mobilitano così tanti artisti e spettatori che potrebbero arrivare a paralizzare la Costa Azzurra.
Che ruolo hanno gli interpreti in questo tipo di festival artistici di grande portata? Nadia Martín (Salamanca, 1982), professionista con esperienza nel campo degli eventi cinematografici, considera gli interpreti come un ingranaggio di un macchinario che deve funzionare in modo perfetto (anche se a volte saltano per aria alcune viti).
Free lance per scelta, ha fatto il suo ingresso nel mondo del cinema grazie alla raccomandazione di una collega. Partecipa a ogni tipo di festival e mette a sua disposizione la propria voce in spagnolo, francese e inglese per i registi, attori e giornalisti che ne hanno bisogno. Il suo lavoro più importante è forse quello che svolge al Festival di San Sebastián, in Spagna, dello stesso calibro di quello di Cannes.
Che tipo di servizi di interpretazione realizzi a San Sebastián?
Il Festival si suddivide in due: da una parte, c’è la sezione ufficiale di interpretazione, costituita da un team di interpreti molto ampio gestito da una sola persona; dall’altra, le case di produzione e distribuzione cinematografica portano spesso con loro i propri interpreti per la promozione dei film. Io ho iniziato a lavorare con le case di produzione e distribuzione cinematografica nel 2014 e nel 2018 ho fatto parte per la prima volta della sezione ufficiale del Festival. Con le case di produzione e distribuzione cinematografica il lavoro consiste principalmente in maratone di interviste e tutto ciò che ruota attorno a un film. Nella sezione ufficiale capita di dovere lavorare a eventi paralleli dell’industria cinematografica, a conferenze sul marketing cinematografico, a conferenze stampa, a galà, a qualsiasi evento organizzato dal Festival.
A parte la varietà di eventi ufficiali, di solito ti assegnano qualche tipo di evento in particolare?
Può capitare qualsiasi cosa. Le interviste per le case di produzione e distribuzione sono sempre molto simili tra loro: un giorno, un film; al massimo un film alla mattina e uno al pomeriggio. È imprescindibile guardare il film e prepararsi il più possibile, soprattutto perché il regista apprezza se l’interprete sa e dimostra interesse, perché il film è il suo bambino e quindi è quanto ha di più prezioso. Di solito si tratta di interviste in consecutiva ma c’è anche un po’ di simultanea dato che, per risparmiare tempo, di solito ti danno un registratore per interpretare mentre l’artista parla in modo da velocizzare il processo. Quando si lavora direttamente per il Festival, ci sono molti imprevisti e ritardi, quindi bisogna essere flessibili perché può essere necessario improvvisare. Per questo bisogna prepararsi in anticipo su tutte le sezioni, i film, i membri della giuria. Ti possono chiamare all’improvviso per andare a una conferenza dato che un regista ha deciso che, dopo la proiezione del suo film, vuole passare al cinema e parlare con il pubblico. E senza preavviso. Quindi l’incaricata del Festival deve scegliere un interprete e, anche se non hai visto il film perché eri da un’altra parte, devi disporre delle risorse sufficienti per svolgere un buon lavoro.
Qual è la più grande sfida nell’interpretare per il Festival?
La più grande sfida è proprio la grande quantità di informazioni cinematografiche che devi avere imparato a casa, perché il mondo del cinema è immenso e tutte le persone che hanno a che vedere con questo mondo hanno molto lavoro alle spalle. I giornalisti appartengono alla sezione Cultura o Cinema dei rispettivi media, quindi sanno tantissime cose e possono fare una domanda su qualsiasi argomento. Durante la presentazione di un film che è uscito quello stesso anno, un giornalista può chiedere se il film è ispirato ai lavori di Hitchcock dato che presenta molti richiami a un suo film degli anni ‘50. Bisogna possedere dunque anche un ampio bagaglio culturale dato che non si sa mai in che momento si allontaneranno da quanto avevi previsto.
Quando si lavora direttamente per il Festival, ci sono molti imprevisti e ritardi, quindi bisogna essere flessibili.
Come influiscono sul tuo modo di lavorare l’imprevedibilità e i tempi stretti?
In realtà, i tipi di interpretazione sono molto ben diversificati. Se la simultanea ha poco margine per divagare, la consecutiva ne ha moltissimo e il tipo di interpretazione più utilizzato nelle interviste è proprio questo. Nella consecutiva bisogna sempre stare molto attenti all’oratore perché ci sono persone che preferiscono parlare per molto tempo e non fanno alcuna pausa per permettere all’interprete di inserirsi, persone che invece preferiscono parlare poco per permettere l’intervento e oratori che parlano e poi ti guardano perché tu gli faccia un segno quando si devono fermare. Anche in questo caso si stabilisce un bel legame e bisogna essere in grado di adeguarsi moltissimo perché se, per esempio, si è abituati a una consecutiva con frasi brevi e non si è esercitata abbastanza la memoria, con certi oratori ci si troverà in difficoltà.
Com’è la relazione con gli oratori?
Di solito molto buona. Ci sono attori e registi più alla mano di altri. Con la stampa si finisce per conoscersi da un festival all’altro. L’interprete deve sapere come comportarsi: sapere qual è il suo posto, essere disponibile senza essere d’intralcio. In alcuni momenti, mentre c’è un’intervista, vengono scattate foto e video. Con gli anni, si inizia a capire qual è la postura migliore, a che distanza o in che momento magari bisogna allontanarsi un po’, cosa si può dire e cosa no. Per creare un ambiente piacevole, cerco sempre di lasciare che siano loro a stabilire i termini della relazione.
La più grande sfida è proprio la grande quantità di informazioni cinematografiche che devi avere imparato a casa.
Ti è mai capitato di partecipare a una conferenza in cui ci fosse interazione con il pubblico? È un lavoro difficile?
Sì, qualche volta mi è capitato e sì, è un lavoro difficile perché si tratta di eventi imprevedibili. Il pubblico può chiedere qualsiasi cosa e, quanto più è informale l’ambiente, tanto più è possibile che si finisca per fare delle battute, l’incubo di ogni interprete. Non si può sapere se verranno fuori nomi propri, cifre, battute intraducibili. Dipende molto dalla cultura. Mi è anche capitato di tradurre una battuta senza averla capita nonostante avessi compreso tutte le parole però, ovvio, bisogna pur dire qualcosa. Sai che il pubblico non la capirà perché non l’hai capita neanche tu, ma non vuoi nemmeno che la persona che l’ha raccontata faccia una brutta figura. Bisogna risolvere la situazione in modo elegante: “può ripetere?”, “è un riferimento culturale quindi non verrà colto, ma penso che si possa dire così”.
Ci sono differenze nel lavoro svolto durante i festival di categoria A e quelli di minore portata?
Le esigenze sono le stesse e io non faccio distinzioni tra clienti di una categoria o dell’altra, mi preparo esattamente allo stesso modo. Ci sono differenze riguardo al tipo di film che vengono presentati, all’organizzazione e alla quantità di eventi paralleli, ma non è che una categoria sia più difficile dell’altra.
Hai incontrato qualche difficoltà particolare a San Sebastián che ti abbia fatto imparare qualcosa?
Durante il primo anno la cosa che mi ha colpito maggiormente è che bisogna essere molto flessibili. Bisogna essere pronti assolutamente a tutto, anche con i vestiti. Ti trovi in un ambiente formale, devi essere consapevole del fatto che ci resterai per moltissime ore, che sarai in piedi per la maggior parte del tempo, che continuerai a passare dall’interno all’esterno. In altri tipi di interpretazione il programma viene seguito molto di più e c’è poca possibilità di fuori programma, ma in un festival del cinema di tale portata, l’interprete deve essere molto flessibile e non perdere nemmeno un briciolo di informazione, perché gli attori e i registi investono nel portare i propri film a determinati festival. Quindi è tutto un gioco a incastro e l’interprete non è altro che un ingranaggio del macchinario. C’è solo una possibilità e il risultato deve essere perfetto. È un lavoro piuttosto adrenalinico ma è fantastico. Essere al fianco di un attore o un regista per tutta una giornata significa conoscere artisti che altrimenti non avresti occasione di incontrare. Sono stati in grado di realizzare un film, raccontare una storia e li hai lì davanti per potergli chiedere qualsiasi cosa riguardo alla loro creazione, aneddoti personali, fonti di ispirazione. Puoi avere una panoramica più completa, il che è un privilegio.
L’interprete deve sapere come comportarsi: sapere qual è il suo posto, essere disponibile senza essere d’intralcio.
C’è stata un’interpretazione in particolare che ti è piaciuto realizzare?
Sì, ho avuto varie occasioni di lavorare con Éric Toledano e Olivier Nakache, che sono i registi di varie commedie francesi che in Spagna hanno avuto molto successo. Sono i registi di “Quasi amici”. Avevano già realizzato film prima ma “Quasi Amici” ha avuto moltissimo successo in Spagna e non se l’aspettavano. Quindi, a partire da quel momento, hanno creato una relazione speciale con il pubblico spagnolo, hanno fatto uscire altre due commedie da allora e ho avuto la possibilità di partecipare alla loro promozione. Siccome li ho incontrati moltissime volte, non solo nel Festival di San Sebastián, è molto bello. Sono affascinanti. Ci chiedono anche “che ve ne è parso del film?”, “cosa ne pensate della battute?”, “fanno ridere in Spagna?”. È bellissimo avere un regista così vicino, vedere l’evoluzione dei suoi lavori anno dopo anno.
Che consigli daresti a un interprete che deve affrontare un incarico di interpretazione a Cannes o San Sebastián?
A me è rimasto impresso il consiglio che mi aveva dato una professoressa durante i miei studi. Diceva che il migliore traduttore non è quello che conosce la lingua, né il più puntuale o il più acculturato, ma quello che ha un sesto senso per capire su cosa documentarsi. Lei lo chiamava il clic della diffidenza. “Questa cifra sarà veramente giusta?”, “un pinguino è un uccello anche se non sa volare?”. Ho imparato che la cosa più importante per un interprete professionista è avere un sesto senso per sapersi documentare, per sapere che tipo di informazioni possono risultare utili per preparare ogni incarico e ovviamente l’argomento deve interessarti un minimo perché, se lo consideri una tortura, non avrai l’atteggiamento giusto per fare le ricerche. Quando lavori con case di produzione e distribuzione cinematografica, ti permettono di visionare il film, poi puoi fare qualche ricerca riguardo a quello che pensi possa venire fuori: la scheda tecnica, i lavori precedenti dei registi e degli attori, quello che a naso un giornalista potrebbe voler sapere.
Traduzione in italiano: Chiara Massa
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