05
24
2017
interpreti di guerra

Interpreti di guerra: attori invisibli della storia

Questo articolo evoca la figura spesso dimenticata degli interpreti di guerra.

Qual è il mestiere più antico al mondo? Tutti risponderete: l’interprete! La figura dell’interprete nasce appunto con lo sviluppo e l’espansione delle grandi civiltà, di pari passo con le guerre e gli incontri, o meglio scontri, con altre civiltà dalla lingua e dalla cultura diverse. Per questo motivo, da sempre l’interprete ha un ruolo fondamentale nella storia dell’umanità e da sempre, come un attore invisibile, prende parte ai giochi politici che regolano le sorti delle guerre. Solo negli ultimi anni, in seguito ai conflitti che hanno martoriato il Medio Oriente, si è iniziato ad accorgersi degli interpreti di guerra.

Ma chi sono gli interpreti di guerra?

Prima di tutto, anche solo dare una definizione di interprete di guerra non è cosa facile. Un interprete di guerra può essere un professionista assunto da organismi internazionali, governi o forze armate oppure un locale che si improvvisa interprete di guerra perché conosce la lingua e i costumi del posto e la lingua delle forze occupanti. Inoltre, a livello giurisdizionale, un interprete di guerra può essere considerato un combattente se partecipa alle attività belliche delle unità militari con cui collabora o un civile se si limita a favorire le comunicazioni tra le parti.

Ad ogni modo, tutte queste definizioni presentano delle lacune a livello giurisdizionale. Infatti, gli interpreti di guerra non godono di una tutela giuridica pensata specificatamente per loro, ma a seconda del loro status possono godere dei diritti applicati ai combattenti secondo le norme di Diritto Internazionale Umanitario o dei diritti applicati alla categoria dei giornalisti, nella quale vengono inseriti a livello normativo svolgendo però un lavoro del tutto diverso.

I rischi di questa professione

La mancanza di una definizione normativa riguardo questa figura professionale apre le porte a una serie di questioni irrisolte quali le modalità di impiego, l’adeguatezza del compenso, il livello di preparazione professionale ed etica. Davanti a questa situazione di confusione normativa, la via più facile è spesso quella di assumere gente del posto che si improvvisa interprete di guerra. Autisti, accompagnatori, guide turistiche che diventano interpreti mettendo a repentaglio la loro vita e quella delle loro famiglie. Il rischio che corrono non è solo dovuto ai pericoli della guerra, ma anche all’alone di diffidenza e sfiducia che li circonda. Da un lato, le forze militari che temono che gli interpreti locali possano avere dei contatti con i combattenti locali e non garantiscono loro un’adeguata protezione durante e dopo il conflitto e, dall’altro, le comunità locali che li tacciano come traditori, spie e collaboratori del nemico. In questi anni in Medio Oriente sono stati numerosi i casi di interpreti locali minacciati o uccisi dai combattenti locali per aver collaborato con le forze occupanti. Alcuni esempi sono i 216 interpreti uccisi dai talebani in Afghanistan solo nel 2006, oppure il caso di Haroon, un bambino di 9 anni ucciso nel 2013, perché lo zio era un interprete delle forze britanniche. I casi di vendette sui familiari sono molti, così come quelli di negato riconoscimento dello status di rifugiato politico e quindi negata accoglienza nel paese estero. Basti pensare ai 90 interpreti afghani che aiutarono le forze militari italiane a Herat e che sono stati dimenticati dal governo italiano.

Tantissimi avvenimenti di questo tipo, ma pochissimi quelli ricordati dalla stampa e dall’opinione pubblica. Spesso ci si dimentica che un incontro linguistico-culturale in zone di guerra è garantito da interpreti invisibili per la storia, invisibili per la nostra società, invisibili per i governi e per i poteri politici, invisibili per le stesse categorie di interpreti. Il giusto riconoscimento per gli interpreti di guerra non può che arrivare in seguito a quello che è stato definito New Social Contract, ovvero un riconoscimento prima della professione e dello status giuridico che possa portare poi a maggiori tutela, protezione e riconoscimento sociale.

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Questo articolo è stato scritto da Alessia Benincasa

Graduated in Languages, Society and Communication at the University of Bologna, after an Erasmus in the Netherlands and various experiences in the organization of cultural events and translation, she chose France for her postgraduate internship at Cultures Connection.